26 abril 2008

25 de abril en Italia




anno VI n° 0029 del 28 aprile – 4 maggio 2008
settimanale di scienze umane
dell’Associazione Internazionale Artisti «Poesia della Vita»
presidente Reno Bromuro
Repertorio n° 3426 – Raccolta n° 1270 del 29/10/1984 (non profit)



DALL’8 SETTEMBRE AL 25 APRILE PASSANDO

PER LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI

E

LA POESIA DELLA RESISTENZA DI DANTE STRONA



Il 25 aprile in Italia è festa nazionale per commemorare la liberazione del regime fascista.

Il Fascismo è stato un movimento politico italiano del XX secolo, rivoluzionario e reazionario, di carattere nazionalistico e autoritario, nato in Italia per iniziativa di Benito Mussolini, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Di ispirazione sindacal corporativa, combattentistica e organicista, si costituì in regime dittatoriale negli anni Venti; lo si descrive come una terza via tra capitalismo liberale e comunismo marxista, basata su una visione organicista corporativista e totalitaria dello Stato. Radicalmente e violentemente contrapposto al socialismo e al comunismo e pur riconoscendo la proprietà privata, rifiuta anche i principi della democrazia liberale.

La sua nascita è dovuta anche come reazione alla Rivoluzione Bolscevica del 1917 e alle forti lotte sindacali, operai e braccianti, culminate nel Biennio rosso in parte in polemica con la società liberal-democratica uscita lacerata dall'esperienza della Prima Guerra Mondiale, unendo aspetti ideologici tipici dell'estrema destra: nazionalismo, militarismo, espansionismo, meritocrazia, con quelli dell'estrema sinistra che valorizzava il primato del lavoro, la rivoluzione sociale e generazionale, sindacalismo rivoluzionario soreliano, inserendovi elementi ideali originali e non, quali l'aristocrazia dei lavoratori e dei combattenti, la concordia fra le classi, il primato dei doveri sui diritti, come l’aveva originariamente concepito Giuseppe Mazzini e il principio gerarchico, portato al suo culmine dell'obbedienza cieca e pronta al capo di alcuni reparti d'assalto, come ad esempio, il comportamento degli Arditi durante la Grande Guerra.

Ecco una parte tratta dal diario della volontà come lo descrive Benito Mussolini il 19 agosto 1921

«Il Fascismo è una grande mobilitazione di forze materiali e morali. Che cosa si propone? Lo diciamo senza false modestie: governare la Nazione. Con quale programma? Col programma necessario ad assicurare la grandezza morale e materiale del popolo italiano. Parliamo schietto: Non importa se il nostro programma concreto, non è antitetico ed è piuttosto convergente con quello dei socialisti, per tutto ciò che riguarda la riorganizzazione tecnica, amministrativa e politica del nostro Paese. Noi agitiamo dei valori morali e tradizionali che il socialismo trascura o disprezza, ma soprattutto lo spirito fascista rifugge da tutto ciò che è ipoteca arbitraria sul misterioso futuro».

Fra le innumerevoli interpretazioni successive del fascismo ecco come lo presenta Lelio Basso

«Il fascismo è stato un fenomeno più complesso, in cui hanno confluito e si sono incontrate componenti diverse, ciascuna delle quali aveva naturalmente le sue radici nella precedente storia d'Italia per cui è assurdo parlare del fascismo come di una parentesi che bruscamente interrompe il corso della nostra storia, ma neppure si può affermare che esso sia semplicemente il logico punto d'approdo di questo corso precedente. Se il fascismo trova indubbiamente le sue origini nel nostro passato risorgimentale, se le componenti (...) sono venute maturando attraverso il tempo talché si può dire che costituiscano dei filoni ininterrotti tuttavia ciò che determinò il loro incontro in una sintesi nuova fu la guerra mondiale e la crisi del dopoguerra che, virulentando i germi preesistenti, fece esplodere in forma acuta quelle che erano state fin allora delle malattie croniche del nostro organismo. Ci sono quindi nel fascismo elementi di continuità ed elementi di novità e di rottura rispetto alla storia precedente: gli elementi di continuità sono appunto quelle malattie croniche, quegli squilibri tradizionali che in parte affondano le loro radici nei secoli passati e in parte sono un portato del processo risorgimentale, del modo cioè come l'Italia giunse ad essere uno Stato unitario e moderno, mentre l'elemento di novità è la virulentazione sopravvenuta con la guerra e il dopoguerra che, mettendo in crisi i precari equilibri precedenti, fa scoppiare tutte le contraddizioni e precipita la situazione italiana fino al punto di rottura, determinando una sintesi nuova, un equilibrio nuovo, un fenomeno nuovo che appunto s'è chiamato fascismo»

Il Fascismo è nato ufficialmente il 23 marzo 1919 a Milano, in Piazza san Sepolcro n° 9, in un locale messo a disposizione dal Circolo degli Interessi Industriali dove, quel giorno, si raduna un piccolo gruppo di circa 120 ex combattenti, interventisti, arditi e intellettuali, che fondano i Fasci Italiani di Combattimento.

Il programma di questo gruppo è essenzialmente volto alla valorizzazione della vittoria sull'Austria Ungheria, alla rivendicazione dei diritti degli ex-combattenti, al "sabotaggio con ogni mezzo delle candidature dei neutralisti". Segue quindi un programma economico-sociale che prevede - fra l'altro - l'abolizione del Senato, tasse progressive, pensione a 55 anni, giornata lavorativa di otto ore, abolizione dei Vescovati, sostituzione dell'Esercito con una milizia popolare.

Un fondamentale contributo alla nascita del fascismo è stato dato dal movimento dello Squadrismo, ovvero l'organizzazione di squadre paramilitari con le quali si va a realizzare una sistematica demolizione dei movimenti politici rivali: socialisti, popolari, comunisti, sindacalisti e la progressiva occupazione - con mezzi legalitari e illegali - di posizioni chiave nelle amministrazioni comunali.

Le squadre, che raccolgono Trecentomila aderenti, forniscono il nerbo della forza golpista con la quale, il 28 ottobre 1922 il Fascismo forza la mano al sovrano Vittorio Emanuele III marciando su Roma.

Con l'arrivo al potere, Mussolini intraprende una politica di riassetto delle casse dello Stato, di liberalizzazioni e riduzioni della spesa pubblica. E’ riformata la scuola secondo la volontà del filosofo Giovanni Gentile. D'altro canto dà seguito ad una serie di rivendicazioni delle associazioni combattentistiche, e dei sindacati fascisti, garantendo le pensioni e le indennità ai reduci e ai mutilati e rendendo obbligatoria la giornata lavorativa di otto ore agli operai. In politica estera, l'Italia accetta i patti siglati a Locarno con la Jugoslavia, con la protezione delle minoranze italiane in Dalmazia e l'autonomia di Fiume, che nel 1924 è riunita alla madrepatria. Porta a termine anche il controllo - a favore dell'Italia - dei confini delle colonie in Tripoli-nania e Cirenaica con gli imperi coloniali di Francia e Gran Bretagna. Tuttavia la presenza di un'ala oltranzista nel PNF, rappresentata da elementi estremisti come Italo Balbo e Roberto Farinacci impedisce la "normalizzazione" delle squadre d’azione, che continuano ad imperversare nel paese spesso fuori da ogni controllo. Ne fanno le spese numerosi antifascisti, il più importante dei quali, Giacomo Matteotti, che viene assassinato in seguito ad un tentativo di rapimento da parte di una banda di squadristi capeggiata da Amerigo Dumini. La cosiddetta "crisi Matteotti" che mette il governo Mussolini di fronte ad un bivio: continuare a governare legalitariamente, rispettando quantomeno nella forma lo Statuto, oppure imprimere una svolta autoritaria?

Mussolini, premuto dai ras dello squadrismo, opta per la seconda scelta. Il fascismo diviene dunque dittatura.

Nel corso dei due decenni di governo, detti Ventennio, il fascismo cerca anche di imporre la propria visione antropologica al popolo italiano attraverso politiche educative, culturali, eugenetiche attraverso una legislazione razzista ed antisemita.

In politica estera, il regime promuove prima una blanda revisione dei trattati di pace, per assicurare contemporaneamente una maggiore forza all'Italia e la stabilità in Europa, ma in seguito al sorgere del nazismo in Germania a metà degli anni trenta, il regime si vede costretto ad una spirale di scelte tali che nel suo ultimo quinquennio finisce col legarsi sempre più al regime nazista, con il quale finisce coinvolto nella Seconda Guerra Mondiale.

L'esperienza bellica è disastrosa per il regime e per il Paese. L'invasione alleata delle regioni meridionali porta prima ad un colpo di stato militare, che in una sola giornata spazza letteralmente via il regime-oramai completamente privato di consenso popolare - e quindi ad una divisione della penisola in due tronconi, occupati rispettivamente da Asse al nord ed Alleati al sud. Questa divisione consente una temporanea rinascita del fascismo nelle regioni settentrionali, dove organizza uno Stato di fatto la Repubblica di Salò, riconosciuto solo dai paesi dell'Asse.

Negli ultimi venti mesi di esistenza il fascismo è coinvolto nella guerra civile con le formazioni partigiane che fiancheggiano l'avanzata alleata.

Alla fine di aprile 1945 con il crollo del fronte e l'insurrezione popolare proclamata per il giorno 25 dal Comitato di Liberazione Nazionale, la RSI è spazzata via. I suoi dirigenti, compreso Mussolini, catturati dai partigiani, sono eliminati sommariamente fra il 28 e il 29 aprile 1945. Con la morte di Mussolini l'esperienza fascista può essere considerata conclusa.

Ma qualche anno prima c’è stata la riunione del Gran Consiglio, 25 luglio 1943 e votano contro Mussolini.

Ricordo la faccia di mio nonno, non l’avevo visto mai così raggiante, specialmente nei giorni precedenti in cui non arrivava posta dei figli. Mi abbracciò così forte che credetti mi volesse spezzare le costole. Ancora pochi giorni e la guerra sarà finita.

Ma nei giorni che seguirono non ci si potette più parlare era sempre cupo, pensieroso e quando spezzava il cotone per infilare l’ago lo faceva con tanta rabbia che il filo si rifiutava di entrare nella cruna.

Anche perché dopo la caduta del regime il fascismo si riorganizza grazie all'occu-pazione tedesca di gran parte del paese in seguito all'armistizio di Cassibile.

La rinascita di uno stato fascista nel centro-nord Italia assume caratteri di discontinuità col vecchio regime, tali che alcuni autori hanno addirittura inteso separare radicalmente il fascismo del Ventennio da quello repubblicano.

Ideologicamente la Repubblica Sociale Italiana nasce dal Congresso di Verona, dove esponenti del partito fascista - particolarmente di estrazione ex squadristica - si riuniscono per ricreare il partito messo fuori legge dopo il 26 luglio 1943. Essenzialmente dal congresso escono: un Tribunale straordinario speciale per processare i gerarchi che il 25 luglio si erano schierati contro Mussolini; un manifesto programmatico che sancisce la struttura del nuovo stato; la nascita della Repubblica sociale che prevede la convocazione di una Assemblea Costituente e riaffermava l'alleanza con la Germania Nazista.

L’italiano amante della libertà insorge contro le angherie naziste e fa nascere dall'impegno comune delle ricostituite forze armate del Regno del Sud, di liberi individui, partiti e movimenti che, dopo l'armistizio dell’8 settembre 1943 e la conseguente invasione dell'Italia da parte della Germania nazista, che si oppone, militarmente o anche solo politicamente, agli occupanti e alla Repubblica Sociale Italiana, fondata da Benito Mussolini sul territorio controllato dalle truppe germaniche e fa nascere la Resistenza.

Il movimento resistenziale - inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della resistenza all'occupazione nazista - fu caratterizzato in Italia dall'impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici. I partiti animatori della Resistenza, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale, avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra.

Nelle città cominciano a costituirsi nuclei partigiani clandestini denominati GAP, ossia Gruppi di Azione Partigiana, formati ognuno da pochi elementi pronti a svolgere azioni di sabotaggio e di guerriglia nonché di propaganda politica. Accanto ad essi, nei principali centri urbani sorgono all'interno delle fabbriche le SAP, ossia Squadre di Azione Patriottica, ampi gruppi di sostegno alle formazioni partigiane belligeranti, con l'obiettivo specifico di rendere più ampia possibile la partecipazione popolare al momento insurrezionale. A questo punto sorgono attriti su quale sarebbe stato per il movimento partigiano l'interlocutore privilegiato, politico o militare che fosse, italiano oppure alleato.

DALLA RESISTENZA ALLA LIBERAZIONE

«Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome».

Cesare Pavese, da La terra e la morte 9 novembre 1945

Ma andiamo con ordine: il 19 aprile, mentre gli Alleati dilagano nella valle del Po, i partigiani su ordine del CLN danno il via all'insurrezione generale. Dalle montagne, confluiscono verso i centri urbani del Nord Italia, occupando fabbriche, prefetture e caserme. Mentre avviene ciò, le formazioni fasciste si sbandano e le truppe tedesche allo sfacelo battono in ritirata. Si consuma il disfacimento delle truppe nazifasciste, che davano segni di cedimento già dall'inizio del 1945 e i cui vertici si preparavano alla resa agli Alleati.

Il 27 aprile 1945, Mussolini, indossa la divisa di un soldato tedesco, sale sul camion e si confonde con i soldati tedeschi, ma è riconosciuto e catturato a Dongo, in prossimità del confine con la Svizzera, mentre tenta di espatriare assieme a Claretta Petacci. E’ fatto prigioniero e giustiziato il giorno successivo 28 aprile a Giulino di Mezzegra, sul Lago di Como e il suo cadavere esposto impiccato a testa in giù, accanto a quelli della stessa Petacci e di altri gerarchi, in Piazzale Loreto a Milano, dove è lasciato alla disponibilità della folla. In quello stesso luogo otto mesi prima i nazifascisti avevano esposto, quale monito alla Resistenza italiana, i corpi di quindici partigiani uccisi.

Il 29 aprile ha finalmente fine la Resistenza Italiana, con la resa incondizionata dell'esercito tedesco.

Il 2 maggio il generale britannico Alexander ordina la smobilitazione delle forze partigiane, con la consegna delle armi. L'ordine è, in generale, eseguito e le armi in gran parte consegnate, in tempi diversi nei vari luoghi in dipendenza dell'avanzata dell'esercito alleato, della liberazione progressiva del territorio nazionale, e del conseguente passaggio di poteri al governo italiano; una parte delle forze partigiane fu arruolato nella polizia ausiliaria ad hoc costituita.

Con quella guerra, più o meno civile, più o meno decisiva nel conflitto mondiale, è finito il regime fascista, durato ventidue anni. Dunque non si può mescolarla, commemorarla,parificarla a quella di chi quel regime ha difeso fino all'ultimo giorno. Il partito dei combattenti, delle medaglie d'oro, del siamo tutti italiani allora non esisteva e ciò che non è esistito non fa parte della storia, fa parte del revisionismo che manipola la storia a fini politici. Esso può piacere a quanti tengono presente ai loro fini e comodi che oggi i neofascisti stanno al governo in ministeri importanti e che al Polo delle libertà fa comodo confondere la Resistenza italiana con il sanguinario comunismo stalinista, ma non piace a noi che c'eravamo, e che ricordiamo molto bene, che il denominatore comune dei partigiani era la guerra ai nazisti e ai fascisti.

La liberazione è arrivata ma non dimenticano l’inizio dell’insurrezione popolare del sud, iniziata a Roma il 10 settembre 1943. La zona sud di Roma è teatro di uno degli episodi più drammatici ed eroici della Resistenza: la battaglia di Porta San Paolo: l'estremo, disperato tentativo da parte dei militari e dei civili italiani di opporsi all'occupazione tedesca della capitale avviata subito dopo l'annuncio dell' armistizio.

A seguito della caduta del fascismo e della formazione del governo Badoglio, nella capitale sono confluite alcune divisioni dell'esercito regio. Contemporaneamente i partiti di sinistra, tornati allo scoperto e appena tollerati dal nuovo presidente del consiglio, iniziano ad organizzare i primi nuclei militari composti da militanti antifascisti, coordinati da una Giunta militare nata alla fine d’agosto e diretta dai comunisti Luigi Longo, Giorgio Amendola e Mauro Scoccimarro; dagli azionisti Riccardo Bauer, Ugo La Malfa ed Emilio Lussu; dai socialisti Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, affiancati dagli scrittori Alberto Moravia, Vincenzo Cardarelli, dai pittori della Scuola Romana Basaldella, Mazzacurati, Mafai, Domenico Caputi.

Dunque, al momento dell'annuncio dell' armistizio, la sera dell'8 settembre, la possibilità di difendere la città dall'imminente attacco nazista non è da escludere. Ma all'alba del 9 il re Vittorio Emanuele III, Badoglio e le autorità militari abbandonano Roma senza impartire nessuna direttiva precisa, lasciando l'esercito nella più assoluta incertezza.

Sin dalla notte dell'8 settembre avvengono combattimenti alla periferia della capitale: i militari italiani hanno la peggio e sono costretti a ritirarsi. La mattina del 10 una parte di questi si riunisce intorno a Porta San Paolo dove li attendono i civili giunti spontaneamente od organizzati dai partiti antifascisti. Si ritrovano così fianco a fianco,tra gli altri, i superstiti della Divisione «Granatieri di Sardegna», i Lancieri del battaglione «Genova Cavalleria», alcuni reparti della Divisione «Sassari» e moltissimi civili armati alla meglio.

Nonostante la schiacciante superiorità numerica e d’armamento delle truppe tedesche comandate dal maresciallo Kesselring, il fronte resistenziale riesce ad attestarsi lungo le mura di Porta San Paolo, innalzando barricate e facendosi scudo delle vetture dei tram rovesciate. Nel corso della battaglia si distinguono militari come il generale Giacomo Carboni, comandante del Corpo d'armata motocorazzato, che si prodiga nel tenere alto il morale dei soldati: manda i carabinieri a staccare i manifesti disfattisti che danno per imminenti le trattative con i tedeschi, fa spargere la notizia dello sbarco degli alleati ad Ostia e dell'arrivo a Roma delle divisioni «Ariete» e «Piave». Combattono valorosamente i tenenti colonnello Enzo Nisco e Franco Vannetti Donnini, i capitani Giulio Gasparri e Camillo Sabatini, i tenenti Francesco Saint-Just, Gino Nicoli, Guido Bertoni, Vincenzo Fioritto, il carrista Salvatore Lo Pizzo e tanti altri soldati.

Molti anche i civili che pagano con la morte il loro eroismo: l'operaio diciottenne Maurizio Cecati è colpito a morte mentre incita i suoi compagni alla lotta; il fruttivendolo Ricciotti che, finito il lavoro ai mercati generali, si era improvvisato eccezionale tiratore; muore colpito da una scheggia Raffaele Persichetti, professore di storia dell'arte al liceo classico «Visconti». Persichetti sarà la prima medaglia d'oro della Resistenza.

Nella battaglia di Porta San Paolo muoiono, complessivamente, quattrocento civili tra cui quarantatré donne. Molti anche i dirigenti dei partiti antifascisti presenti sul luogo della battaglia: tra gli altri, Luigi Longo, Antonello Trombadori e Fabrizio Onofri del PCI; Emilio Lussu e Ugo La Malfa del PdA; Sandro Pertini, Eugenio Colorni, Mario Zagari del PSIUP; Romualdo Chiesa e Adriano Ossicini del Movimento dei cattolici comunisti; il sindacalista socialista Bruno Buozzi.

Nel primo pomeriggio la resistenza è travolta dai mezzi corazzati tedeschi e il capo di stato maggiore della Divisione «Centauro», Leandro Giaccone, firma la resa a Frascati, presso il Quartier generale tedesco.

La battaglia di Porta San Paolo è considerata il vero e proprio esordio della Resistenza italiana e in lei si può misurare emblematicamente il comportamento dei vari protagonisti. Le istituzioni, la cui assenza è ben rappresentata dalla fuga del re e del governo; l'esercito, diviso tra chi sceglie di combattere e chi, come il vecchio maresciallo d'Italia Enrico Caviglia, tratta con il nemico; gli organi politici antifascisti, che imboccano decisamente la strada della lotta di liberazione con la costituzione del CCLN; infine la popolazione, che, nonostante la paura, sceglie numerosa, almeno in questa occasione, la solidarietà antinazista contro l'indifferenza. Nelle stesse ore, a centinaia di chilometri di distanza, si consuma un altro tragico episodio di eroismo italiano e di violenza nazista: il martirio del presidio militare di Cefalonia.

L’eco della Resistenza di Porta San Paolo giunge a Napoli come una folata di vento e il 27 settembre giorno della resa dei difensori di Porta San Paolo, la città si sveglia e inizia il mattino del 27 la rivolta contro i tedeschi. In Piazza Vanvitelli, alcuni studenti fanno saltare una camionetta nazista uccidendo quattro tedeschi. Improvvisamente gli abitanti del Vomero si chiudono in casa come possono, altri prendono d’assalto il Museo di San Martino e si confondono con le statue, dove vivono come meglio possono.

Eppure per tutto il primo quadriennio di guerra 1940 - 1943, la città è sottoposta a durissimi bombardamenti da parte delle forze alleate che causano ingenti perdite in termini di vite umane anche per la popolazione civile. Si calcola che le vittime sono oltre ventimila, cadute sotto questi attacchi indiscriminati, per non menzionare i danni ingentissimi al patrimonio artistico e culturale, ricordo che il 4 dicembre 1942 è semidistrutta la Basilica di Santa Chiara mentre solo nel bombardamento del 4 agosto 1943 periscono oltre tremila persone; circa seicento morti e tremila feriti si hanno, invece, per lo scoppio della nave Caterina Costa nel porto il 28 marzo 1943.

Ero andato, come tutti i giorni, a prendere il cibo per il principale quando vidi passarmi sulla testa una grande fiammata e mi accucciai. Passata la paura mi rimisi in cammino e ad un signore che incrociai sul marciapiede, domandai cosa fosse stato; la risposta che ebbi fu di vedere la testa di quel signore rotolare per terra e il suo corpo continuare a camminare: era stato decapitato da una lastra di acciaio incandescente della nave giunto fin sopra San Martino. Dopo un secondo ero in sartoria che non riuscivo più a parlare.

A Napoli, già dai primi giorni immediatamente seguenti l'armistizio, si vanno intensificando gli episodi di intolleranza e di resistenza verso l'occupante nazista e le azioni armate, più o meno organizzate, fanno seguito alle manifestazioni studentesche del 1 settembre in Piazza del Plebiscito ed alle prime assemblee nel Liceo Sannazzaro al Vomero, dove nascondono ogni arma possibile per una eventuale insurrezione contro il nazifascista.

Il 9 settembre alcuni cittadini si scontrano con le truppe tedesche al Palazzo dei Telefoni, mettendole in fuga, e in Via Santa Brigida. Quest'ultimo episodio vede coinvolto un carabiniere che è costretto a sparare per difendere un negozio dal tentato saccheggio da parte di alcuni soldati.

Il 10 settembre, tra Piazza Plebiscito e i giardini sottostanti, avviene il primo scontro cruento, con i Napoletani che riescono ad impedire il transito di alcuni automezzi tedeschi; nei combattimenti muoiono tre marinai e tre soldati tedeschi. Gli occupanti ottengono la liberazione di alcuni uomini fatti prigionieri dagli insorti anche grazie all'ingiunzione di un ufficiale italiano che intima ai suoi compatrioti la riconsegna degli ostaggi e di tutte le armi. La rappresaglia per gli scontri di Piazza Plebiscito non tarda ad arrivare: i nazisti infatti appiccano un incendio alla Biblioteca Nazionale ed aprono il fuoco sulla folla intervenuta.

Il 12 settembre vengono uccisi decine di militari per le strade della città, mentre circa 4.000 persone tra militari e civili sono deportate per il "lavoro obbligatorio".

Lo stesso giorno, il colonnello Hans Scholl (di origini beneventane), assunto il comando delle forze armate occupanti in città, proclama il coprifuoco e dichiara lo stato d'assedio con l'ordine di passare per le armi tutti coloro che si fossero resi responsabili di azioni ostili alle truppe tedesche, in ragione di cento napoletani per ogni tedesco eventualmente ucciso. Di seguito il proclama apparso sui muri della città la mattina di lunedì 13 settembre:

«1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.

2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell'autore verranno distrutti e ridotti a rovine. Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte.

3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.

4. Esiste lo stato d'assedio.

5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un'arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche.
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.

Napoli, 12 settembre 1943 firmato SCHOLL Colonnello»

Dopo la fucilazione di otto prigionieri di guerra avvenuta in Via Cesario Consolo e gli spari di un carro armato contro gli studenti (che stanno iniziando a riunirsi nella vicina Università) e contro alcuni marinai italiani davanti al palazzo della Borsa, vi è un episodio che scuote particolarmente il sentimento popolare.

Sulle scale della sede centrale dell'Università avviene l'esecuzione di un giovane marinaio, cui migliaia di cittadini sono costretti ad assistere dalle truppe tedesche che a forza li conducono sul Rettifilo, la strada antistante il luogo della fucilazione.

Cinquecento persone, lo stesso giorno furono parimenti condotte con la forza a Teverola, nel Casertano, e costrette ad assistere alla fucilazione di 14 carabinieri, "rei" di aver resistito con le armi prima di arrendersi all'occupante nazista.

Ormai la rabbia e l'esasperazione dei napoletani,in seguito alle esecuzioni indiscriminate,ai saccheggi, ai rastrella-menti della popolazione civile, alla miseria e alle distruzio-ni della guerra che mette in ginocchio la città intera, sta montando spontanea, priva di un fattore esterno organiz-zativo che non fosse altro se non il desiderio di liberarsi dell'invasore tedesco.

Il 22 settembre si comincia a pensare all'approvvigiona-mento delle armi. Quello stesso giorno gli abitanti del Vomero riescono ad impadronirsi di quelle appartenute alla 107° batteria; il 25 settembre 250 moschetti furono prelevati dal Liceo Sannazzaro, diventato la “Santa Barbara” per una eventuale insurrezione del popolo napoletano, affiorarono nelle mani degli insorti che con-quistano senza paura alcuni depositi di armi e munizioni.

Il 23 settembre intanto, una nuova misura repressiva adottata dal colonnello Scholl prevede lo sgombero (entro le ore 20 dello stesso giorno) di tutta la fascia costiera cittadina sino ad una distanza di 300 metri dal mare; in pratica circa 240.000 cittadini sono costretti ad abbandonare in poche ore le proprie case per consentire la creazione di una "zona militare di sicurezza" che sembra preludere alla distruzione del porto.

Quasi contemporaneamente,un manifesto del prefetto intima la chiamata al servizio di lavoro obbligatorio per tutti i maschi di età compresa fra i diciotto e i trentatré anni, in pratica una deportazione forzata nei campi di lavoro in Germania.

Il risultato sperato dai nazisti non è però ottenuto e alla chiamata rispondono soltanto 150 napoletani sui previsti 30.000, il che incita Scholl a decidere di inviare ronde militari per la città per i rastrellamenti e la fucilazione immediata degli inadempienti.E’ affisso in città un nuovo proclama del Comando Militare Germanico.

L'insurrezione popolare è inevitabile, i cittadini sono chiamati a scegliere tra la sopravvivenza e la morte o la deportazione forzata in Germania ed ormai, spontaneamente in ogni punto della città, persone di ogni ceto sociale e di ogni occupazione, va riversandosi nelle strade per organizzarsi ed imbracciare le armi. Si uniscono a loro anche molti dei soldati italiani che solo pochi giorni prima si erano dovuti dare alla macchia. Già dal 26 settembre una folla disarmata e urlante si scatena contro i rastrellamenti nazisti, liberando i giovani destinati alla deportazione. Tra loro c’è anche Guglielmo Chianese (alias Sergio Bruni, l’Usignuolo di Napoli)



LA LOTTA DELLE QUATTRO GIORNATE

Lunedì 27 settembre, dopo un'ampia retata dei tedeschi che catturano in vari punti della città circa 8.000 uomini, 400, forse 500 uomini armati aprono i combattimenti.

La prima scintilla della lotta, come ho già detto più su, scoppia al Vomero dove, in località Pagliarone, un gruppo di persone armate, saputo dello scoppio in Piazza Vanvitelli, ferma un'automobile tedesca uccidendo il maresciallo alla guida.

Durante l'intera giornata, aspri combattimenti si susseguono in diverse zone della città tra gli insorti e i soldati tedeschi che ormai stanno per iniziare le operazioni di sgombero,anche per le false notizie riguardo un imminente sbarco alleato a Bagnoli.

Il tenente Enzo Stimolo dell'esercito italiano, dopo essersi posto a capo di un gruppo di 200 insorti, si distingue particolarmente nell'operazione di assalto all'armeria di Sant’Elmo che cade soltanto in serata, non senza spargimento di sangue; i tedeschi asserragliati, sia all'interno della Villa Floridiana sia al Campo Sportivo Collana, nel cuore del Vomero, intervengono in forze a dar battaglia.

Un gruppo di cittadini si dirige nelle stesse ore verso il Bosco di Capodimonte dove, secondo alcune voci che girano in città, i tedeschi stanno conducendo a morte alcuni prigionieri;è messo a punto un piano per impedire ad un gruppo di guastatori tedeschi di minare il Ponte della Sanità per l'interruzione dei collegamenti con il centro della città, cosa che viene realizzata con successo il giorno successivo ad opera di un drappello di marinai.

In serata, vengono assaltati e depredati anche i depositi d'armi delle caserme di Via Foria e di Via San Giovanni a Carbonara.

Martedì 28 settembre, con il passare delle ore va aumentando il numero dei cittadini napoletani che si uniscono ai primi combattenti, gli scontri si intensificano; nel quartiere Materdei; una pattuglia tedesca, si è rifugiata in un'abitazione civile, ed è subito circondata e tenuta sotto assedio per ore, sino all'arrivo dei rinforzi: alla fine tre Napoletani perdono la vita.
A Porta Capuana s’insedia un gruppo di quaranta uomini, con fucili e mitragliatori, in una posto di bloco e uccide sei soldati nemici, catturandone altri quattro, mentre combattimenti si avviano verso il Maschio Angioino, al Vasto e a Monteoliveto.

I tedeschi procedono ad altre retate, questa volta al Vomero, ammassando numerosi prigionieri all'interno dello Stadio Collana, cosa che scatena la reazione degli uomini di Stimolo che danno l'assalto al campo sportivo, determinando, dopo aver dovuto fronteggiare un'iniziale reazione armata, la liberazione dei prigionieri, il giorno successivo.

Mercoledì 29 settembre 1943, terzo giorno di feroci scontri per le vie di Napoli, l'organiz-zazione dell'insurrezione rimane ancora lasciata ai singoli capi-popolo di quartiere, mancando del tutto i contatti con le forze strutturate dell'antifascismo come il Fronte Nazionale.

Intanto emergono figure locali che assumono il comando delle operazioni nei vari quartieri della città, come il professore Antonino Tarsia In Curia al Vomero, il tenente colonnello Bonomi a Salvator Rosa, il capitano Francesco Cibarelli al Duomo, il capitano Mario Orbitello a Montecalvario, il capitano medico Stefano Fadda a Chiaia, l'impiegato Tito Murolo al Vasto, mentre tra i giovani si distingue Adolfo Pansini, studente del Liceo Sannazaro.

Nel quartiere "Cuoco" i tedeschi attaccano in forze con i carri armati e non più di cinquanta ribelli tentano strenuamente di opporsi, ma devono subire: il bilancio è pesante: dodici morti e più di quindici feriti.

Anche il quartiere operaio di Ponticelli subisce un pesante cannoneggiamento, in seguito al quale le truppe tedesche procedono ad eccidi indiscriminati, penetrando dentro le abitazioni civili. Altri combattimenti si hanno nei pressi dell'Aeroporto di Capodichino e di Piazza Ottocalli, dove muoiono tre avieri italiani.

Nelle stesse ore, presso il quartier generale tedesco al Corso Vittorio Emanuele, ripetutamente attaccato dagli insorti, avviene la trattativa tra il colonnello Scholl e il tenente Stimolo per la riconsegna dei prigionieri del Collana; Scholl ottiene di aver libero il passaggio per uscire da Napoli, in cambio del rilascio degli ostaggi che ancora sono prigionieri al campo sportivo. Per la prima volta in Europa i Tedeschi trattano una resa di fronte a degli insorti.

Giovedì mattina 30 settembre 1943, mentre le truppe tedesche hanno già iniziato lo sgombero della città per il sopraggiungere delle forze anglo-americane provenienti da Nocera Inferiore, in città il professor Tarsia si autoproclama, presso il Liceo Sannazzaro, capo dei ribelli assumendo pieni poteri civili e militari, impartendo precise disposizioni circa l'orario di apertura degli esercizi commerciali e la disciplina.

Tuttavia i combattimenti non cessano e i cannoni tedeschi che presidiano le alture di Capodimonte colpiscono per tutta la giornata la zona tra Port’Alba e Piazza Mazzini. Altri combattimenti si hanno ancora nella zona di Porta Capuana.

Gli invasori in rotta lasciano dietro di loro incendi e stragi; clamoroso è il caso dell'Archivio Storico di Napoli che è dato alle fiamme a San Paolo Belsito, cau-sando incalcolabili danni al patrimonio storico e artistico.

Il Venerdì 1 ottobre alle 9.30 i primi carri armati alleati entrano in città, mentre alla fine della stessa giornata, il comando tedesco in Italia, per bocca del maresciallo Albert Kesserling, considera conclusa la ritirata con successo.

1 comentario:

silvia dijo...

El fin del facismo, el ajusticiamiento de Mussolini...creíamos que vendría un mundo más justo, pero el huevo de la serpiente quedó.

Silvia